Sapete perché la Valgerola ha questo nome?

“Gerola” deriva dal dialetto valtellinese “gera”, che significa “ghiaia”. Questa parola, però, di certo non è sufficiente per descrivere la Valgerola: lo possono testimoniare i suoi abitanti, ma anche i visitatori fedelissimi che, anno dopo anno, non riescono a rinunciare ad un weekend o ad una vacanza in questo suggestivo ramo della Valtellina.

Immersa nel Parco delle Orobie Valtellinesi, la Valgerola stupisce per i suoi paesaggi spettacolari, testimonianza di un rapporto antico tra l’uomo e l’ambiente che lo ospita: un rapporto che affonda le sue radici nel rispetto per la natura. Non è un caso, infatti, che questa valle sia estranea a qualsiasi intervento invasivo da parte dell’uomo: il fatto che non sia assaltata dai turisti, poi, offre quel genere di esperienza immersiva che altre località di montagna non possono offrire.
 

 

Geografia generale

La Valgerola occupa la zona occidentale delle Alpi Orobie ed è una delle due valli percorse dal Bitto, il torrente che ha regalato il suo nome anche al celebre formaggio. Uno dei suoi tratti tipici è da ricercare nella varietà dei suoi paesaggi, risultato dell’azione del Bitto e delle calotte glaciali nel corso delle ere geologiche. Durante le vostre incursioni, infatti, vi ritroverete ad abbracciare con lo sguardo boschi di faggi e foreste di conifere, avvistando di tanto in tanto uno dei laghetti alpini della zona. Questo senza considerare le morene, le creste e i ghiaioni che, stagione dopo stagione, offrono in ogni periodo dell’anno un profilo paesaggistico sorprendente: dalle solenni montagne innevate ai pascoli primaverili, per non parlare di quando il panorama si tinge dei colori dell’autunno.

Questa particolarità si riflette anche sulle valli secondarie che si diramano dalla Valgerola: la solitaria Val Bomino, la Valle della Pietra, la verdeggiante Val Vedrano, la Val di Pai e, ultima ma non ultima, la Valle di Pescegallo. Inoltre proprio da Pescegallo è possibile raggiungere il Rifugio di Salmurano, a 1848 metri, per poi proseguire verso il passo omonimo: in questo punto la Valgerola si congiunge con la Val Brembana.
 

 

Montagne

Ma non si può descrivere la Valgerola senza nominare le sue vette, dai profili fantasiosi, capaci di offrire uno skyline che, ammirato una volta, non è possibile scordare. Le cime più famose si sviluppano dai Laghetti di Ponteranica, a est, per poi estendersi verso ovest tra la Valle di Pescegallo e la Valle della Pietra, procedendo infine verso sud-ovest con i rilievi delle Valli di Tronella, di Trona e d’Inferno. Noterete subito che le montagne di Valgerola e dintorni sono dotate di nomi pittoreschi e caratteristici, perfetti per questa zona ricca di tradizioni e misteri.

Si parte dalla cima del Pizzo della Nebbia (2243 m), con un nome evocativo che non ha bisogno di spiegazioni; si prosegue con il Monte Ponteranica (2378 m), che si innalza in prossimità degli omonimi laghetti alpini, per poi frammentarsi in tre cime distinte (la cima orientale è caratterizzata da piani erbosi che la rendono facilmente percorribile).

Ma una delle vette più note è sicuramente la Rocca di Pescegallo (2125 m), monte costituito da cinque vette frastagliate che le sono valse il soprannome di “Denti della Vecchia” (o di “Denc’ de la Végia”, in dialetto). Da Gerola, tuttavia, la Rocca appare come un unico solido torrione, soprannominato anche “Piz de la Matina”: infatti gli abitanti della zona usano tre delle vette circostanti come rudimentali meridiane, battezzandole con un soprannome che indica il momento della giornata in cui vengono attraversate dal sole.
 

 
Dopo il cosiddetto “Piz de la Matina”, il sole incontra un’altra cima tipica, soprannominata il “Piz dul Mezdé” (Pizzo del Mezzodì): la Cima di Piazzotti (2349 m), un rilievo tondeggiante firmato da una croce essenziale che, se raggiunto, potrebbe riservare un prezioso incontro con gli stambecchi.

Prima di raggiungere il “Pizzo del Vespro”, tra la Valle di Tronella e la Valle di Trona svetta un trio di rilievi che rispondono tutti al nome di “Mezzaluna”: il Dente di Mezzaluna (2282 m), il Pizzo di Mezzaluna (2373 m) e il Torrione di Mezzaluna (2333 m). Queste tre cime formano un’unica cresta che, con un pizzico d’immaginazione, ricorda il profilo di un rinoceronte addormentato: la forma del Torrione, infatti, è simile a quella del corno che caratterizza questo animale, attraversato in questo caso da una fenditura che ne divide la struttura in due. Questa catena montuosa in miniatura offre sicuramente uno dei paesaggi più impervi e selvaggi del territorio, offrendo una vista meravigliosa a chi trova il coraggio di scalarla.

Dopo il Pizzo di Tronella (2311 m), ecco giungere la vetta che accoglie il sole prima di tramontare: si tratta del Pizzo di Trona, il cosiddetto “Piz di Véspui“. Si tratta di una vera e propria piramide rocciosa che, con i suoi 2510 metri di altezza, può orgogliosamente vantare il titolo di seconda cima più alta della Valgerola.
 

 
A rubarle il primato, anche se solo per una quarantina di metri, è il Pizzo dei Tre Signori (2554 m), chiamato così non per la sua conformazione, ma per motivi storici che risalgono al XVI secolo. A quell’epoca, infatti, questa montagna segnava i confini di tre diversi regni: la Lega Grigia svizzera, la Repubblica di Venezia e il Ducato di Milano, ai tempi in mano agli spagnoli. Oggi, invece, il Pizzo dei Tre Signori marca i confini delle province di Sondrio, Bergamo e Lecco.
 

Laghi e fiumi

Della Valgerola, però, sono tipici anche i laghetti alpini, i bacini artificiali e i numerosi ruscelli e rigagnoli che arricchiscono ancora di più questo paesaggio variegato. Primo tra tutti i torrenti (i “bit”, secondo il dialetto locale) è certamente il Bitto, già citato perché non solo indica genericamente le due valli del Bitto (la Valgerola e la Valle di Albaredo) ma soprattutto per aver dato il suo nome ad uno dei formaggi grassi per eccellenza. In ogni caso, il territorio della valle è particolarmente ricco di ruscelli d’acqua, tant’è che il comune di Gerola Alta, un tempo, si chiamava “Santa Maria dell’Acqua Viva”.

Il nome del paese può anche essere cambiato, ma quest'”acqua viva” non è certo scomparsa. Lo dimostra la presenza dei torrenti, ma non solo: la zona, infatti, è ricca di laghi alpini. Partendo da est, a nord del Monte Ponteranica, si inizia con il Lago di Pescegallo, un tempo bacino naturale che, nel Secondo Dopoguerra, è stato ampliato da una diga. A sud, invece, troviamo i Laghetti di Ponteranica, una coppia di bacini che si nascondono all’interno di una conca, incorniciata dai Monti Ponteranica, Valletto e Triomen. Questi due laghetti raccolgono acqua piovana e sono separati da un crinale erboso, caratterizzato dalla presenza di altri due bacini più piccoli. I Laghetti di Ponteranica sono facilmente riconoscibili, specialmente quello meridionale, simile ad una grande “C”.
 

 
Più a ovest, invece, si distendono i vicini Lago di Trona e Lago Zancone, in prossimità del Pizzo dei Tre Signori. Emissario del Lago di Trona, il quale è stato ingigantito in seguito alla costruzione di una grande diga, è proprio il Bitto; il Lago Zancone, invece, vi rimarrà particolarmente impresso per il colore delle sue acque, di un blu particolarmente intenso.

Protagonista di un’altra conca è invece il Lago Rotondo, un bacino naturale dal quale svetta il Pizzo di Trona (che, se vi ricordate, viene soprannominato “Piz di Véspui”). Artificiale, invece, è il Lago d’Inferno, che domina l’omonima valle: il nome potrebbe suscitare curiosità (se non un certo timore) e non è una coincidenza che questa zona brulichi di leggende e superstizioni.
 

Flora

Salendo e riscendendo per i rilievi, seguendo i diversi itinerari alla scoperta di laghetti e cime selvagge, vi ritroverete ad attraversare o a contemplare i boschi di latifoglie, fino a raggiungere le conifere delle latitudini più alte: non è un caso che il nome “Pescegallo” derivi proprio da “pesc“, che in dialetto significa “abete”. Paesaggi ospitali e pittoreschi, come le fiorite praterie alpine, si alternano con gli ambienti più impervi della valle, offrendo passeggiate tranquille a coloro che si vogliono rilassare e escursioni avventurose per chi, invece, ama le arrampicate.
 

 
Sono numerose le famiglie di fiori che hanno imparato ad adattarsi alle temperature più rigide, sbocciando anche ad alta quota. Alcune di queste sono particolarmente rare e ricercate, non solo come decorazioni ma anche per essere utilizzate come erbe medicinali. È il caso, ad esempio, dell’Atragene Alpina, una di quelle piante potenzialmente velenose che, però, se utilizzata nel modo giusto e da una mente esperta, è in grado di alleviare i reumatismi.

Non mancano fiori dalle forme curiose e particolari, come la Campanula dell’Arciduca e il Dente di Cane, oltre alla classica Stella Alpina e alla Peonia Selvatica, particolarmente rara, la quale si mostra solo agli occhi dei più fortunati. Ricercatissimo è anche il Meleagride Alpino, tipico dei pascoli, dai caratteristici petali punteggiati. Ma una delle decorazioni naturali di montagna più apprezzate è sicuramente quella offerta dai cuscinetti di Eritrichi, fiori piccolissimi che colorano di azzurro le cime montuose più elevate.
 

Fauna

Un habitat così variegato permette il proliferarsi di numerose specie animali. Oltre ai classici ungulati di montagna (come caprioli, cervi, camosci e stambecchi, non poi così impossibili da avvistare), merita sicuramente di essere menzionata la capra orobica, originaria proprio della Valgerola. Per merito dell’isolamento della valle, questo animale ha potuto sviluppare caratteristiche proprie che la rendono unica nel suo genere: dotata di grandi corna che si curvano verso l’esterno, la Capra Orobica si riconosce anche per il suo pelo lungo, che può variare dal marroncino chiaro fino al nero. È inoltre una capra a duplice attitudine: questo significa che è perfettamente adatta sia per la produzione di latte (e quindi di formaggi, tra cui lo stesso Bitto) che di carne. È un vero e proprio simbolo non solo della Valgerola, ma anche dell’intero Parco delle Orobie.
 

 
Anche il mondo dei piccoli mammiferi è di particolare interesse. Potrebbe capitarvi, durante le vostre incursioni, di avvistare una volpe, una donnola o magari una marmotta, se non addirittura una cosiddetta “lepre variabile“: questo animale, insieme alla pernice bianca, è riuscito ad adattarsi alla vita di montagna, imparando a mimetizzarsi con un manto bianco quando sopraggiunge l’inverno.

Anche gli attenti osservatori del cielo potrebbero fare degli avvistamenti sorprendenti, a cominciare dagli spettacolari voli dell’aquila reale, che nel corso degli ultimi decenni sta ritornando a sovrastare i territori della valle. Per scorgere la coturnice, invece, è necessario raggiungere i prati alpini o i fianchi montuosi più scoscesi: forse riuscirete a sentire il suo canto durante la primavera.

Ma, mentre solcate i cieli con lo sguardo, non scordatevi di tanto in tanto di buttare un occhio a terra: la Valgerola, infatti, è popolata anche dal marasso (un serpente dal morso non velenoso), dall’aspide e dall’innocua salamandra nera. Per chi invece è appassionato di pesca sportiva, si segnala la presenza della trota fario e del salmerino, in grado di resistere a temperature molto basse.
 

Gerola e Pescegallo

Oltre alla sua flora e alla sua fauna, a contribuire al fascino del paesaggio valgerolese sono i pittoreschi insediamenti ad alta quota, divenuti a tutti gli effetti parte integrante del territorio della valle. Tra questi centri spicca sicuramente Gerola Alta, situato a ben 1050 metri d’altezza e ultimo comune della Valgerola. Il paese è diviso in diverse fazioni: Valle, Nasoncio, Fenile, Castello, Ravizze, Case di Sopra, Laveggiolo e Pescegallo, che si trova a 1425/1450 metri.

Il nome ““Pescegallo”” può sembrare atipico, ma in realtà è semplicemente la fusione tra il dialettale “pesc” (“abete”) e “gallo” (inteso come “gallo cedrone”): letteralmente, dunque, significa “abete del gallo cedrone”, dato che questo animale si nutre proprio degli aghi di questo particolare albero.
 

 
Raggiungere Pescegallo dal centro di Gerola Alta offre uno scorcio spettacolare della valle, nonché una passeggiata ideale per scoprire le tipiche mulattiere (un tempo, si dice, infestate dalle streghe) e il lato più selvaggio del territorio. Un territorio che, per quante volte possa essere visitato ed esplorato, non smetterà mai di stupirvi.

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