Se vi è già capitato di raggiungere il Lago di Sasso, in prossimità del Pizzo dei Tre Signori, allora saprete che questo bacino ha una caratteristica particolare, in grado di attirare l’attenzione dei più curiosi: dalle acque del lago emerge un masso misterioso, che sembra custodire un segreto…
La soluzione di questo enigma potrebbe essere una leggenda, che racconta di come quel masso non sia semplicemente una grande pietra: anzi, un tempo era un essere umano! Ma com’è possibile?
Ora ve lo raccontiamo…
Il pastore si sfregò i baffi e, dopo aver dato un’ultima occhiata al suo bestiame, si sedette sull’erba con uno sbuffo. Quella sarebbe stata una giornata come tutte le altre, esattamente uguale a ieri e all’altro ieri… e, probabilmente, anche al giorno dopo: ore ed ore di solitaria contemplazione, con il primo centro abitato a chilometri e chilometri di distanza. Ma a lui, il pastore, la cosa non dispiaceva per niente: lontano da tutto e da tutti, l’unico sguardo che sentiva su di sé era quello del Pizzo dei Tre Signori, e a lui andava bene così.
A Ransciga – così veniva chiamato il pastore – non piaceva per niente stare in mezzo alla gente. Non era un caso che avesse scelto una vita solitaria, grazie alla quale aveva l’occasione di incontrare più capre che persone: gli altri montanari lo irritavano e lo mettevano di cattivo umore, quindi della loro compagnia faceva volentieri a meno.
Ransciga, però, si sbagliava: quella non sarebbe stata una giornata come tutte le altre!
Il pastore prese una forma di pane duro e ne tagliò un pezzetto usando il suo falcetto, una roncola (in dialetto “ransciga”: ecco perché veniva chiamato così), e, mentre masticava pian piano, sollevò lo sguardo verso il cielo, crogiolandosi nella sua solitudine. Era quasi tentato di concedersi anche un po’ di formaggio, quando avvistò un uccello gigantesco volare intorno alla cima del Pizzo.
Era un volatile che non prometteva nulla di buono, con le piume nerissime e un collo lungo quanto quello di un cigno… anche se non era decisamente un cigno! E nemmeno un corvo, un’aquila, o una pernice… Sembrava veramente inclassificabile! Però a stupire Ransciga – che di uccelli di montagna se ne intendeva – fu che quel volatile dall’aspetto inquietante non stesse sbattendo le ali… Eppure rimaneva bene in alto nel cielo!
“E quello che razza di pennuto è?!” si chiese Ransciga, rizzandosi subito in piedi. Mise a fuoco con occhi attenti il misterioso volatile che, incredibilmente, sembrò ricambiare il suo sguardo. La schiena del pastore venne percorsa da un brivido, ma l’uomo non abbassò gli occhi nemmeno per un istante. A quel punto l’uccello smise di rimanere sospeso nel cielo e si gettò in picchiata verso di lui, prendendolo di mira!
Ransciga, dai riflessi pronti, riuscì a scansarlo per un pelo e, senza farsi prendere dal panico, corse al suo capanno per armarsi di fucile. L’uccello stava già per attaccare di nuovo, ma il pastore era pronto: prese la mira e sparò, colpendolo in pieno!
La reazione del volatile fu inaspettata: spalancò il becco e tutta la valle su sconvolta dal suo verso demoniaco, completamente diverso da quello di qualsiasi altro animale… E poi si trasformò: le sue ali presero fuoco e divenne una palla incandescente, che precipitò verso la piana del torrente Troggia. La zona venne intossicata da un fumo color zolfo e, quando questo si diradò, Ransciga poté osservare un’enorme conca dalla quale, ancora, fuoriusciva quella nebbia giallastra. Il pastore si avvicinò, spinto dalla curiosità, ma ad un certo punto gli parve di scorgere un movimento e, d’istinto, sparò verso la buca…
L’avesse mai fatto!
“Io torno all’Inferno, ma tu resterai per sempre dove ti trovi adesso!”
Ransciga sussultò e perse la presa sul fucile: quella voce terrificante poteva appartenere solo ad una creatura… al Diavolo in persona!
Aveva sparato al diavolo… e per ben due volte!
Prima che potesse fare alcunché, il pastore si rese conto di non riuscire più a muoversi: le gambe si irrigidirono, le braccia smisero di rispondere ai suoi comandi… E, tempo pochi minuti, si trasformò in un grande sasso!
Nessuno andò a cercare Ransciga e, anche se qualcuno ci avesse provato, non l’avrebbe trovato di sicuro. Con il tempo, la gente del paese si dimenticò di lui… Ma il masso rimase, e rimane tuttora: ora è circondato dalle acque del lago, che hanno coperto le tracce della conca infernale. Il pastore potrà liberarsi dalla sua prigione solo tra parecchi secoli, quando i depositi alluvionali interreranno completamente il lago… e anche il masso che emerge dalla sua superficie.
Ransciga, però, può ritenersi soddisfatto: ora vive veramente lontano da tutti, in completa solitudine, ad eccezione degli escursionisti che, ogni tanto, circumnavigano il lago. Inoltre ha avuto un’enorme soddisfazione: quella di aver ferito nientepopodimeno che il Diavolo!
[Tratto da “La leggenda del Ransciga” di Giulio Selva]